“ …coloro che sono coinvolti nel gioco contro la propria volontà, che non “amano essere in movimento”, né possono permetterselo, hanno ben poche possibilità di successo. Partecipare alla gara non è per loro una scelta realistica, ma ad essi non è nemmeno consentito tenersene fuori. Volteggiare di fiore in fiore, alla ricerca del profumo più gradevole, non è nelle loro possibilità: essi possono solo restare aggrappati a luoghi dove i fiori – profumati o meno – sono pochi e anche quei pochi si dissolvono o marciscono davanti al loro sguardo infelice. Il suggerimento di “attaccarsi con leggerezza a ciò che ci si presenta” e “lasciarlo poi andare, con grazia” suona alle loro orecchie, nel migliore dei casi, come uno scherzo crudele ma soprattutto come un ghigno spietato.
E tuttavia, tocca anche a loro “attaccarsi con leggerezza” a “beni, situazioni, persone” che continueranno a scivolare via e a scomparire a velocità vertiginosa qualsiasi cosa essi facciano; e a nulla vale che essi cerchino di rallentarne la corsa.
(…)
E li si potrebbe perdonare per aver sospettato che esista un qualche collegamento tra la piacevole leggerezza e grazia ostentate da chi volteggia dinanzi al loro sguardo e il torpore e l’immobilità, sgradevoli ma involontari, che li caratterizzano.”
Zygmunt Bauman, "Vita liquida" - Introduzione, Laterza
In questo frammento, criticando il contributo di un collaboratore anonimo dell’Observer, il celebre sociologo mette in luce il disagio e le difficoltà di chi non riesce ad adattarsi alla cosiddetta società liquido-moderna, ovvero quella società dove “ le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure”: coloro che, al contrario, in questa nuova società di qualunquismi, relativismi e consumi sfrenati si trovano a loro agio, sono in grado di “sopportare l’assenza di orientamento: non soffrono di vertigini e sanno adattarsi alle situazioni confuse, alla mancanza di itinerario e di direzione e alla durata indefinita del tragitto (…) Libertà di affetti e revocabilità di impegni sono i precetti che ispirano questo genere di persone, quali che siano i loro impegni e affetti.”
Il MiArt 2009, la Fiera Internazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, è stata evidentemente creata per questo tipo umano: i padiglioni 3 e 4 della Fiera di Milano appaiono popolati da un numero non quantificabile (comunque gargantuesco) di opere, appiccicate o distanziate senza il minimo riguardo per la simmetria, con l’unico ordine delle gallerie che li espongono; è possibile, per esempio, trovare due quadri di Lucio Fontana in due punti opposti di un padiglione, l’uno accanto a un De Chirico e l’altro a un Birolli (?).
Questo per non parlare del padiglione superiore, adibito all’arte più recente e dunque perlopiù sconosciuta ai semplici fruitori non esperti: la scarsa fama di molti artisti e la totale assenza di spiegazioni, uniti alla quantità e alla varietà incommensurabile delle opere esposte, trasformano la fiera in un gigantesco contenitore di stimoli estetici e semantici la cui eterogeneità non attira lo spettatore, bensì lo attacca; viola la sua attenzione strattonandola senza sosta da un luogo all’altro. E’ un’arte ammassata e mescolata, un sublime disordine programmato che, nel complesso, non può avere alcun effetto in termini di piacevolezza.
Questo, purchè non si scorra come il liquido baumaniano attraverso i padiglioni, scivolando leggiadramente addosso ad ogni immagine e ad ogni oggetto, attaccandosi e adeguandosi ad ogni cosa per un tempo adeguato per provare un vacuo divertimento… ma non per riflettere ed esplorare le proprie emozioni, per ricevere un significato o imparare qualcosa.
E’ davvero una fiera, nel senso classico del termine; un mercato e non certo una mostra, dove tra i rari appassionati dell’arte si possono notare bambini urlanti e madri preoccupate, coppiette alla moda dallo sguardo vuoto, anziani turisti dall’aspetto incerto e confuso.
Gli amanti della cultura postmoderna apprezzeranno: a me sovviene con insospettata chiarezza l’anatema evangelico “Avete trasformato il mio tempio in una spelonca di ladri!” (Luca, 19, 46).
Emotivamente stremati, io e il mio amico (ciao Gualo) ci siamo abbandonati sulle seggiole del bar superiore a bere un caffè (macchiato freddo in traballante tazzina di plastica) e a ragionare delle nostre sensazioni: un vissuto caotico che non permette di selezionare una suggestione tra le mille, di tornare a casa con il ricordo di un singolo stupore od interesse.
Ma ci vorrebbe davvero la prosa di Bauman.
Il mio consiglio spassionato è di evitare il MiArt. Almeno, se amate l’arte: che dire, se vi piace o vi diverte soltanto è un appuntamento da non perdere.